Raffaello Di Vecchio

Raffaello Di Vecchio è nato a Lucca nel 1942 dove vive e lavora. Diplomatosi Istituto d’Arte della sua città si fa presto notare per quella pittura narrativa più tardi definita “pittura lucchese”. Partecipa a diversi concorsi a carattere nazionale dove ottiene significativi riconoscimenti e primi premi. Nel corso degli anni allestisce mostre personali a Lucca, Firenze, Oristano, Prato, Vigevano, Montecatini Terme, Lecce, Empoli, Lerici, Massa, Monaco di Baviera, Montevarchi, Bangkok e Milano, Ha insegnato presso l’Istituto d’Arte di Lucca e discipline pittoriche per oltre vent’anni presso il Liceo Artistico della sua città.

Può essere una satira del comportamento umano o di ciò che resta di una presenza una volta essenziale e oggi ridotta a convenzione. Un processo storico-sociale. Ma può anche essere un gioco. Anzi, credo proprio che questa pittura di Raffaello Di Vecchio rappresenti un gioco divertente; e me ne convinco quando, senza alcuna preoccupazione dell’analisi, mi capita di rileggere in distensione queste tavole.
Perché distrarsi dalla lettura calamitata, dalla fine contrapposizione della natura riproposta nella sua realtà e le costruzioni posticce? Fra la pittura di getto e la figurazione miniaturistica delle “suppellettili”, come in un ampio “puzzle” da sistemare con svagata applicazione?  E’ pittura lucchese, direi; intendo con questa espressione riferirmi alla stupenda attitudine diffusa in lucchesia a dare al racconto il sapore e la vivacità della favola; una eredità ricorrente oggi nell’arte attraverso la fabulazione che diventa uno strumento ludico importante quando si ha qualcosa da dire.


A mio avviso s’intende, egli sa fabbricare orizzonti meravigliosi tra cielo e mare appunto, e aree immense di spiaggia dorata dalla regia favolosa per dar risalto ad un vulcano o allo schema di un tempio, ad aste e bandiere, ai personaggi convenzionali del racconto; soprattutto sa collocare su quelle tavole i colori vivacissimi e diversi che sono in definitiva, i veri protagonisti del gioco, la sua anima; vale a dire l’elemento base di un meccanismo con il quale questa bella pittura si fa partecipe di uno dei grandi desideri che stimolano l’uomo sin da quando era il principio. Il desiderio di interpretare pudicamente quanto lo circonda o di coglierne, se si vuole, gli aspetti capaci di suggerirne la sdrammatizzazione.
Si tratta perciò di una condizione che è propria dell’opera d’arte e quindi ulteriore motivo di apprezzamento per tutto quello che Di Vecchio inventa, costruisce e anima con la sua fantasia di poeta. Di favoloso narratore per immagini.    

Tommaso Paloscia


In attesa di Giorgio - 60x40 acrilico su intarsi lignei

Nel 1996, invitato da Antonio Possenti espone a Lucca nella galleria Fantasio e Joe una serie di quadri ispirati al libro di Italo Calvino “le città invisibili” eseguiti con una pittura tradizionale. Alcuni anni dopo accompagna gli alunni di una classe del Liceo Artistico a visitare il museo nazionale d’arte di Lucca e pur avendolo visitato altre volte, come lui racconta, venne folgorato come “San Paolo sulla via di Damasco” da alcune tarsie lignee, alcune eseguite dai Canozzi da Lendinara, primi intarsiatori a colorare i legni nel XV secolo.
Consapevole che altri pittori italiani usavano dalla metà degli anni ’70 questa tecnica, inizia una nuova avventura, “tarsia lignea dipinta”. I primi quadri erano formati da “relativamente” pochi pezzi, “purtroppo” con passare degli anni i legni si sono frammentati in una minuziosa ricerca del segno creato dal taglio e dal disegno dell’opera.
Una bella analisi è la recensione fatta dal critico americano William Marazzi sulla rivista Expression in occasione di una mostra a Bangkok.


La collezionista di bastimenti - 50x30

Il nome di Raffaello Di Vecchio è un incrocio di storia italiana. Il nome evoca un maestro pittore del rinascimento, e il suo cognome riporta alla mente il famoso ponte di Firenze. Lui ha giocato sulla coincidenza. Nel corso degli ultimi anni i suoi temi visivi non sono cambiati molto, mentre la sua tecnica ha preso una radicale svolta che la rende unica. Le sue immagini somigliano ad una girandola di pezzi di puzzle, ma poi qualcosa costringe ad osservare di nuovo e fare migliore attenzione, e si realizza che tutte le forme sono finemente lavorate e dipinte con colori acrilici dai toni luminosi, assemblate su supporti di legno. Che lavoro è questo! Alcuni pezzi sono piccolissimi. Richiedono la mano ferma di un chirurgo e quella di un costruttore svizzero combinate. E la mente alla base dello sforzo è quella di un inventore. Per me le storie di Raffaello sono allegre, commenti sociali sulla storia dell’arte e della società. In una data composizione mischia simboli che trascendono il tempo e lo spazio in maniera surreale. La realizzazione di 1500 pezzi fatti a mano richiede un grande lavoro. Impegna un intero mese. Ha realizzato un intera serie di quadri ispirandosi a venticinque lettere dell’alfabeto, mediamente realizzate con l’assemblaggio di circa 200- 300 pezzi.

Da diversi anni, con la galleria Fantasio e Joe di Lucca ha esposto in fiere a livello nazionale e internazionale quali: Artefiera Bari, Tuyap International Art Fair Istanbul, Artefiera Bologna, Miart Milano, Artissima Torino, Arte Padova, Immagina Arte Reggio Emilia, Arte Genova, ArteForte – Forte dei Marmi, Viterbo Arte e Vicenza Arte. La serie dei quadri dalla A alla Z, citati anche sulla rivista Expression, è ispirata a pittori, movimenti artistici e tecniche pittoriche. Interpretando questi “elementi” elabora , con la tecnica della tarsia, opere che creano un connubio di citazioni piacevolissimo. Le sculture sono eseguite con la stessa tecnica; sono in legno dipinto e spesso fanno riferimento alle citazioni dei quadri.


*le tre immagini sovrastanti sono state prelevate dal sito ufficiale dell'Artista, le tre opere qui rappresentate quindi non sono disponibili in galleria.

Potrebbe sembrare una deviazione di stile questi intarsi, o meglio queste tarsie lignee di Raffaello Di Vecchio, frutto di una tecnica raffinata e meticolosa di cui l’artista lucchese è padrone da qualche anno. Ma, a ben guardare, i dipinti dagli anni ’70 a quasi tutti gli anni ’90, erano nella sua essenzialità, tarsie pittoriche. I personaggi in essi rappresentati, personaggi umani, paesaggi o cose, erano in fondo delle sagome stagliati sulla tela da colori e linee che li facevano estrapolare da uno sfondo monocromatico.
Dunque quello di oggi è, per Di Vecchio, un normale sviluppo della sua vena creativa che ha nell’ironia un indubbio punto di forza. I suoi paesaggi lacustri o marini, i vulcani fumanti e gli aeroplani che cadono erano una sorta di fondali teatrali in cui operavano invisibili personaggi che erano gli altri ma che potevamo essere anche noi. Noi, dunque attori di un palcoscenico pittorico che l’artista si divertiva a mettere a nostra disposizione.
Ebbene, tutto questo non è cambiato con le tarsie. Il palcoscenico è lo stesso e i personaggi, se sono altri, hanno la stessa valenza espressiva di quelli di prima. In particolare in questa rassegna “ dalla A alla Z” la scena si è popolata di nuovi elementi visivi, personaggi appunto che variano da quadro a quadro dovendo l’artista seguire l’indicazione alfabetica. Una ricchezza di riferimenti, di richiami, di citazioni che costituiscono un vocabolario artistico-figurativo di gradevole impatto.
Rispetto alle tele, questi lavori di intarsio sono di maggiore incisività espressiva. La corposità del quadro che gioca soprattutto sullo spessore della materia legno, sullo sbalzo delle linee, sulla delimitazione del colore, porta le opere del Di Vecchio a essere tutte opere “uniche”, nel senso che non solo la tecnica è esclusiva, ma anche l’indagine interpretativa del soggetto è di un’originalità indiscutibile.

Sbagliato sarebbe avvicinare queste opere a quelle di altri artisti che operano sul legno ma in maniera del tutto diversa, perché appunto lo spirito che anima i lavori del pittore lucchese, la meticolosità dell’esecuzione, l’attenzione quasi maniacale ai particolari, e poi il senso che viene fuori dalle sue creazioni, lo fanno essere singolare. Si può avvicinare semmai, il suo operare, a quello del quattrocentista Baccio Pontelli che ha abbellito i palazzi di Urbino, oppure a quello dei fratelli Canozzi da Lendinara, anch’essi del ‘400, intarsiatori e pittori di valore di cui il Di Vecchio potrebbe essersi cibato inavvertitamente osservando l’opera dei due artisti che si trovava nel duomo di Lucca e oggi nel museo di Villa Guinigi. Ma è un accostamento per simpatia data la meticolosità di questi maestri della tarsia lignea che si avvicina alla raffinatezza del lavoro del Di Vecchio.

Questa delle lettere dell’alfabeto è stata un’idea che ha permesso all’artista di spaziare nell’universo dell’arte collegando la fantasia a qualcosa di definito come è appunto la vocale o la consonante dell’alfabeto. In fondo la lettera è servita da ispirazione al pittore perché ad essa ha collegato opere e artisti che lo hanno colpito, che ha amato e che ama e che sono diventati parte essenziale del contenuto della sua valigia culturale.Un’artista dunque che dice veramente qualcosa di nuovo, non solo per la tecnica raffinata che necessita di uno spazio temporale ragguardevole, ma anche per l’originalità delle situazioni espressive che vengono a determinarsi e che, forti anche dell’ironia, il Di Vecchio riesce a dominare. Un’artista che mette nei suoi quadri, apparentemente schematici, tanti brevi racconti che formano nell’insieme, una gradevole storia.

Mario Rocchi